I cocci della quarta parete

Capisci che qualcosa non torna quando il tuo biglietto è marcato da una parola terribile, che sta lì col suo inchiostro nero a sbeffeggiarti: palcoscenico. No, cattivo presagio. Sul palcoscenico dovrebbero esserci gli attori, non di certo io; comunque, non ho tempo di pormi questi dubbi, lo spettacolo sta per iniziare.

Si parli pure di quarta parete, ma già all’entrata sbatto con poca grazia contro, se si vuole chiamarla così, la quinta parete. Quella che mi sono posta io, per l’esattezza; perchè già è una novità salire su quel patibolo di fronte a tutti, ma trovare la platea spezzata da un corridoio centrale, questa è bella! E va bene, accettiamo il privilegio, se così si può chiamare quell’insieme di occhiate che mi segue curioso fino a che non raggiungo la sedia.

Lo spettacolo inizia, finalmente. Le attrici non entrano in scena subito, il loro ingresso è anticipato dalle loro parole, da fischi e versi, nenie; e sì, è maledettamente coinvolgente. Noi spettatori (forse le viscere stesse del castello, ombre che lo abitano, fedeli amici?), che assistiamo all’evoluzione di Macbeth, come la reticenza dispregiata dalla sua Lady, dopo quei delitti, sparisca piano e lo renda un folle. L’imbarazzo, convitati ignari al banchetto sinistro, noi che sappiamo, ma che dobbiamo tacere sulla morte; lo spettro di cui conosciamo la morte, ma ci guardiamo bene dal dire qualcosa, chissà che non ci pensi Macbeth a zittirci del tutto. Lady Macbeth ci accoglie, Lady Macbeth la cui ambizione viene assorbita dal marito. Lady Macbeth che viva infesta la sua dimora e ti fissa, sì, proprio tu che sei lì ad un palmo dal suo naso, con lo sguardo folle. E sebbene lei non ti veda, sembra cercare con quelle pupille frementi lo specchio della pazzia nei tuoi occhi. La fissità di quegli occhi spalancati, che dopo la morte, (sempre lì, potresti chiuderli, più per sollevare te stesso che per lei) pesa come una condanna.

Nel tragico procedere degli eventi compaiono personaggi che sembrano spezzare la tensione con la loro ironia, nonostante l’angoscia continui a pesare sullo stomaco, ormai siamo complici dei misfatti, sporchi come lo stesso re dei suoi delitti.

Le attrici, non si limitano a spostarsi all’interno della scena, ma si muovono anche dietro le quinte, entrano ed escono dalle porte. Chi cerca di seguirle, contorcendosi dal suo posto, chi si affida alla proiezione. Giusto, lo schermo, strumento utilissimo. Eppure, forse perchè sono sul palco, lo degno appena di un’occhiata. È innaturale, quel bianco e nero non mi piace, la scena mi pare troppo lontana, . E maledizione a Shakespeare quella volta che si è messo a scrivere e a me, soprattutto a me, che sono qui! Forse è stato un movimento involontario, una distrazione di un battito di ciglia: invece sono proprio qui ai miei piedi, i cocci della quarta parete.

Gaia Rappo