“Apri l’ombrello, papà”

“Noi siamo diventando proprio bagnati. Apri l’ombrello, papà”.
Una voce. Una mano tesa verso la tua. Due occhi, uno verde e uno molto di più. La giostra gira, la musica riparte. “Noi siamo diventando proprio bagnati”. Un rapido sguardo verso l’ombrello, poi verso il bambino e infine verso l’ombrello ancora. Sinistra, destra, sinistra.
“Apri l’ombrello, papà”. Le gocce cadono sull’asfalto, in fila, una dopo l’altra, stanno tenendo il ritmo. La giostra, la musica, la pioggia, il bambino, le tue perplessità. Questo è troppo, e quando è troppo è troppo.
Uno non è che può trovarsi a fare il padre così, da un giorno all’altro, in piedi, su una giostra, sotto la pioggia, e per di più pretendere di essere in grado di farlo. “Apri l’ombrello, papà”.
La vocina innocente che riecheggia dentro la tua testa, l’immagine di due occhioni imploranti che si ripete, la manina che agitandosi spera di spazzar via i tuoi pensieri per fare un po’ di spazio anche ai suoi, chi eri prima per chi diventerai. E allora tu, in piedi, su una giostra che gira non curante di chi vi è sopra, sotto la pioggia che cade non curante di chi vi è sotto, tu che cosa fai?
“Noi siamo diventando proprio bagnati. Apri l’ombrello, papà”.
Una mano prende quella del bambino, l’altra afferra il manico dell’ombrello. Un passo per saltar giù dalla giostra, poi altri cinquemila.

Eleonora Sartore