L’attesa e il senso del tempo

Il tempo scorre, ma mai alla stessa velocità. Quel tic-tac scandito dall’orologio, l’alternarsi del dì e della notte, il susseguirsi delle stagioni sono solo illusiorie delimitazioni di un tempo indelimitabile.
Ogni attimo si ripete all’infinito, sosteneva Nietzsche, il tempo è circolare.
Cambia, procede, rimane, torna su se stesso. Gli attori di Paolo Valerio si scambiano il mantello, scambiandosi il personaggio. Lo fanno invecchiare, lo rinnovano: il tenente Giovanni Drogo è tutti e non è nessuno.
La sua attesa è quella di ogni singolo personaggio, di ogni singolo attore e spettatore.
Una scena si ripete, allo stesso identico modo: siamo sempre qui, ma i personaggi sono diversi.
Poche sono le spie che ci suggeriscono che il mondo esterno alla storia procede. Tutti dicono che quel covo di modernità, la città, sia senza dubbio meglio della solituidine e della monotonia della fortezza Bastiani. Solo Drogo e, prima di lui, pochi vedono la fortezza come il tempio del tempo: luogo non luogo dove tutto può accadere eppure poco accade. La fiducia nel avvento dell’esercito nemico, nella gloria promessa.. ci vuole una sovrumana tenacia ad aspettare l’inarrivabile, eppure. Eppure. Eppure.

 

Tac.                                                       Tac.

Tac.

C’è una vecchia cisterna che scandisce il tempo alla fortezza Bastiani: è affidabile, molto di più degli orologi, molto di più del sole e dell’inverno. Una goccia cade ogni tanto, non si sa bene dove, ma genera la sua incredibile risonanza che raggiunge ogni angolo della fortezza.
Quando si svuoterà questa cisterna? Fra un minuto, un’ora, dieci anni, mai?
Drogo smette di sentirla quando muore. E non è forse questa l’unica cosa che ci interessa?
Il nostro tempo finito muore con noi, la nostra cisterna indefinita si svuota con noi.
Non c’è tempo assoluto, solo noi, solo Drogo, nella nostra e nella sua finitezza e nella sua immensa capacità di sostenere lo scorrere del suo tempo.

Iris Smiderle