Un’attesa infinita

Il tempo, componente essenziale delle nostre vite, in questo spettacolo sul Deserto dei Tartari di Dino Buzzati, è qualcosa di molto particolare: l’attesa. Se dovessi scegliere una sola parola per descrivere ciò che ho visto, userei proprio attesa: è una sensazione molto forte all’ interno dei personaggi che abitano la Fortezza Bastiani, ed è talmente al centro della storia, che questa non sarebbe nulla senza questa componente; è talmente forte che, ad un certo punto dello spettacolo diventiamo pure noi il protagonista Drogo, e anche noi aspettiamo con impazienza l’arrivo dei misteriosi Tartari, e alla fine dello spettacolo si rimane sorpresi e sconcertati tanto quanto Drogo alla notizia dell’ arrivo di questi Tartari.

È difficile rappresentare teatralmente il tempo, soprattutto se si tratta di trent’anni come in questa opera, però Paolo Valerio è riuscito a trasmettermi quell’ eternità che è passata nella fortezza, e attraverso la scelta di utilizzare otto attori per interpretare il protagonista Drogo, i suoi cambiamenti e lo scorrere della sua vita a mio parere si percepiva bene lo scorrere degli anni.

Una componente che è arrivata meno è stata invece la solitudine, che è stata un po’ sostituita dai numerosi dialoghi che caratterizzano lo spettacolo, ma è comprensibile come scelta drammaturgica, perché uno spettacolo fatto di solitudine e monologhi interiori sarebbe stato molto più pesante e impegnativo per gli spettatori.

Infine trovo che i fondali sulla scenografia, che rappresentavano dei quadri e disegni in movimento di Dino Buzzati, siano stati un tocco in più per lo spettacolo, e sono stati addirittura capaci di rubare più volte la mia attenzione dalla scena.

Giulia Chiumento