Come quando d’estate, chiusa nella mia camera, ascolto la pioggia che batte sul tetto e che mi fa
compagnia, così, avvolta nel buio, quel suono metallico iniziale, ovunque e da nessuna parte, simile
ad una tempesta di metà agosto, mi svuotava e allo stesso tempo mi riempiva. Un suono che, in tutta
la sua potenza e, forse, invadenza, mi sapeva di tranquillità, di casa, di felicità. Mi ha lasciata col fiato sospeso. Speravo mi accompagnasse ancora per un po’.

Gemma Grasselli

Nello spettacolo teatrale “Macbettu” abbiamo assistito ad un’efficace rappresentazione del suono inteso come pericolo e oscurità. Ciò che mi ha colpito di più è l’utilizzo di grandi tavoli come dei tamburi o casse di risonanza. I botti che ne scaturivano potevano risultare disturbanti per il pubblico, anche se effettivamente erano determinanti per la resa dello spettacolo. Da parte mia, devo dire che un pò tutto quel rumore mi infastidiva, sembrava penetrare nella pelle fino ad arrivare al cuore e faceva rimbombare tutto: forse il fine era proprio quello di farci sentire come delle casse.

Mara Grolla

Se si toglie la parte razionale allo spettacolo “Macbettu” restano solo suoni ed emozioni.

L’orecchio è costantemente bombardato da suoni e da questi provengono sensazioni come paura, angoscia, eccitazione e sollievo.

Un suono forte ed improvviso crea paura e agitazione; un suono che parte piano e va crescendo fino a diventare quasi insopportabile genera angoscia e preoccupazione per quello che deve arrivare; infine un suono leggero come un soffio di vento gentile dà un senso di sollievo e calma.

Davide Lorenzi

Dal punto di vista di impatto fisico, il Macbettu è stata un’opera che mia ha colpita in modo forte. Anche a distanza di qualche settimana, mi restano sicuramente addosso i colori scuri e bui che caratterizzavano la scena: il nero predominava, lasciando permanere in me un senso di mistero e offuscamento.
Quello che però ha reso unica l’opera, secondo il mio punto di vista, è stato l’uso dei suoni. Gli attori utilizzavano i vari strumenti che avevano a disposizione per crearli (come ad esempio le pietre o le lunghe tavole di metallo) e il più delle volte immobilizzavano la platea. Erano rumori sordi e fortissimi che riuscivano a colpire dentro di me, obbligandomi a non distogliere per un secondo lo sguardo dalla scena.
Una delle scene più forti è stata quella in cui gli attori hanno fatto cadere le tavole che stavano in verticale per terra, creando anche in quel caso un forte boato, seguito da un silenzio quasi angosciante.
Rachele Dalla Pozza

Un rumore continuo e assordante invade il mio udito e fa vibrare la mia pelle. Una sensazione di ansia gonfia il mio petto. Si alternano scene più calme a quelle più rumorose, che ogni volta mantengo l’attenzione quasi prepotentemente, con suoni tenaci e talvolta stridenti, suoni che sono in grado di riecheggiare nei propri pensieri perfino fuori dalla sala.

Amelia Maccà

“…Tavolozza oscura quella di Macbettu…

innanzi a noi si presentava il grigio antracite della puerile paura nei confronti del cattivo delle favole, la nuvolosa cupezza della brughiera, accostata al plumbeo tuono spesso ricorrente nella scena. Esperienza misteriosa e magica, questa tragedia ha avuto il potere di immergermi in emozioni  che da tempo avevo lasciato impolverare, ridefinendo tinte di un quadro sulle quali gravava il peso della mia indifferenza. Uniche pennellate contrastanti, stese sulla tela complessiva della serata, le tre streghe, piacevolmente irriverenti e con effetto dissacrante sulla scena globale, e quelle, ben più marcate, create con il rosso cremisi dei delitti disseminati nell’intera opera.

Un coinvolgimento totale del corpo che ha saputo illustrarmi gli aspetti più reconditi ed ancestrali di un mondo sconosciuto

…un’opera d’arte.”

Francesco Buzzacchero 

Silenzio. I corpi sono rilassati, i respiri calmi. Suoni freddi si fanno strada tra i sensi. Metallo. Si avvicinano. Vento. Ci raggiungono. Pioggia, grandine. Ci prendono. Il sangue si gela. Il battito del cuore accelera, pulsa nella testa. Sembra scoppiare. La realtà si frantuma, dilaga l’irrazionalità. Tum Tum Tum. Sento l’odore della sofferenza. Tum Tum Tum. La mia pelle vuole staccarsi dalle ossa. Tum Tum Tum. Lame mi perforano i timpani. Tum Tum Tum. Paura, rabbia, dolore. Basta. Le fucilate si attenuano. Si placano. Spariscono. Silenzio. I corpi si rilassano, i respiri si calmano. L’aria è carica di tensione.

Francesca Morelli

Il colore nero e i suoni molto potenti all’inizio dell’opera hanno trasmetto sentimenti molto intensi che sono mi sono rimasti impressi. Questi due, a mio parere, rendevano la scena più intima e coinvolgevano molto il pubblico.

Matilde De Rizzo

Ripensando allo spettacolo Macbettu, i suoi suoni, potenti e coinvolgenti, sono il primo fattore che mi torna alla memoria; la musica prodotta dalle pietre di Pinuccio Sciola, affascinante come poche melodie, gli antichi strumenti e la lingua sarda degli attori mi hanno catapultata in un altro mondo; ricordo uno stato di agitazione che i suoni più potenti mi hanno fatto provare, una sensazione, che mai avevo sentito così chiaramente, di essere attraversata e violata dai fortissimi rimbombi delle percussioni prodotte battendo delle lamiere presenti sul palco.
Oltre ai suoni, anche i colori mi hanno colpita, in particolare l’uso del grigio e del nero, sempre presenti nella scena e che accentuavano il senso di angoscia provato in alcune scene.
È indubitabile che questa produzione di Alessandro Serra abbia un fortissimo impatto emotivo, direi una specie di potere immateriale che consiste nel trasmettere sensazioni al pubblico senza però chiedere il permesso.
È una visione che coinvolge più sensi, uno spettacolo che se ascoltato ad occhi chiusi riesce comunque a sorprenderti tramite la sua musicalità, un Macbeth molto interessante da riscoprire nella sua rivisitazione sarda, che trasporta chi vi assiste in luoghi e tempi lontani da quelli a cui siamo abituati.
Quando abbiamo incontrato Alessandro Serra mi è rimasto impresso ciò che ci ha detto, ovvero che per lui l’aspetto più prezioso del teatro è quello di riuscire ad incantare e ad ipnotizzare l’uomo, che ha bisogno di sentirsi in questo modo. Posso parlare solo di esperienza personale, però nel mio caso il suo intento è riuscito, perché la moltitudine di aspetti affascinati di questo spettacolo, che vanno oltre al testo di Shakespeare scelto, lo ha reso speciale e indimenticabile.

Giulia Chiumento

Ora posso dire di essere stato in Sardegna, per un’ora e mezza seduto in un teatro. Sarà un commento azzardato, ma è quello che mi è rimasto dello spettacolo Macbettu. Messa da parte l’opera di Shakespeare, di cui conosco ben poco, rimane l’interpretazione, i gesti, le voci e l’espressività degli attori sul palcoscenico che, sebbene parlino in sardo per novanta minuti, si fanno capire dal pubblico, il quale rimane compiaciuto, grato e allietato anche da una così tragica vicenda di sangue.
Ritornando al punto espresso precedentemente, ho potuto notare un grande utilizzo di elementi caratteristici della Sardegna nell’opera teatrale, tanto da poter quasi immergersi nel suo ambiente. Inoltre l’aggiunta non ha gravato sullo spettacolo deviandolo dalla sua trama principale; piuttosto l’ha accentuato, reso più aspro e serio in alcune scene, allegro, spensierato ed energico in altre.
Questo spettacolo è stato capace di narrare una cupa vicenda e, oltretutto, di raccontarla in modo che lo spettatore possa viverla, capirla ed essere segnato da essa.

Martino Dalla Vecchia