Chi non si è mai sentito sbagliato? Chi non ha mai trovato un ostacolo che l’ha portato a isolarsi? Ma sopratutto chi si sente giusto? Credo che adesso, nella nostra era che è quella della rete e sopratutto dei social , questa sensazione fastidiosa di essere inadeguato o di non essere abbastanza sia molto forte. Io  stessa ne presento le ferite. Sono sempre  stata una ragazza che ha tenuto alla propria originalità, alla sua libertà di esprimersi e di pensare ( cosa che sembra sdoganata ma più difficile di quanto si possa pensare) e soprattutto ho sempre mal sopportato le cose imposte. Mi sono sempre posta domande, del tipo: perché devo fare questa cosa? Mi piace veramente? Trovo un significato dietro questa azione? Sono consapevole? E quindi sono sempre rimasta me al 100%, inutile dire che l’ho pagata cara. Non nasciamo tutti eroi e mettersi contro corrente vuol dire che di ostacoli non ne hai mai abbastanza: vuol dire non essere compreso da nessuno perché non parli il gergo comune e ti rifiuti di apprendere e riprodurre dogmi prestabiliti da qualcuno. Vuol dire venire isolata, derisa, insultata e pure umiliata. Vuol dire sentire il vuoto dentro di te e crederti sbagliata. È una lotta contro te stessa e contro gli altri. E no, non è facile. Sembra una sciocchezza ribadirlo ma ci tengo che il concetto venga appreso: non è per niente facile. Perché la vita reale non è come le serie tv o i film americani dove gli sfigati di turno in poco più di un’ora di pellicola cambiano radicalmente il corso degli eventi, diventano i più invidiati e sopratutto vengono accettati per quello che sono. Nella realtà se sei l’ultimo rimani l’ultimo, diventi la vittima accessibile a tutti. Seppure tutto è terribilmente reale voglio dire una cosa da “sopravvissuta” per così dire: credi! Credi, continua a credere. Credi che nulla sia impossibile e che ogni ostacolo per quanto alto possa essere superato. Se sono ancora qui è perché evidentemente io c’è l’ho fatta, perché tu non dovresti riuscirci?

All in all you’re just another brick in the wall.
All in all you’re just another brick in the wall.
All in all you’re just another brick in the wall.
Questa parte di ritornello della canzone “Another brick in the wall ” dei Pink Floyd, esprime esattamente il muro che ho dovuto superare quasi 5 anni fa. Nell’estate 2015 ho iniziato a indossare un busto per la scoliosi e, una volta tornata a scuola, sono stata bullizzata dalle mie compagne di classe perché ero diversa e avevo meno capacità fisiche di loro. Mi sono sentita sola, un mostro nel momento in cui avevo più bisogno di aiuto. Ero fragile, ferita e vulnerabile, ma nonostante questo ci sono stati i miei veri amici che mi sono rimasti vicini, mi hanno aiutato a superare questo muro, a diventare più forte e a lasciarmi alle spalle i commenti negativi delle persone.

Anna Busato

Questa canzone: la collego molto al rapporto che avevamo io e mio nonno. Purtroppo, nel momento in cui lui è stato male, i miei genitori non mi hanno lasciato stargli vicino poiché ritenevano che la malattia l’avesse cambiato profondamente e io, da bimba quale ero, non sarei stata in grado di superare il dolore nel vederlo così.
Proprio i miei genitori sono stati il mio cancello sbarrato (seppur nell’intento di proteggermi) non dandomi la possibilità di dare a mio nonno un ultimo saluto.

Martina Simonato

Vedendo lo spettacolo di Filippo Timi ho capito quanto sia difficile per un giovane avere un impedimento che non permetta di vivere a pieno quelli che dovrebbero essere i migliori anni della propria vita.
Un cancello sbarrato che penso di aver incontrato durante il mio breve periodo di vita è stato il fatto di possedere un insistente timidezza che non mi permetteva di trovare nuove persone con cui fare amicizia o magari di non dare il meglio di me in pubblico.
Penso che la seguente poesia di Paulo Neruda “timidezza” rappresenti a pieno quel triste periodo della mia vita.

Appena seppi, solamente, che esistevo
e che avrei potuto essere, continuare,
ebbi paura di ciò, della vita,
desiderai che non mi vedessero,
che non si conoscesse la mia esistenza.
Divenni magro, pallido, assente,
non volli parlare perché non potessero
riconoscere la mia voce, non volli vedere
perché non mi vedessero,
camminando, mi strinsi contro il muro
come un’ombra che scivoli via.
Mi sarei vestito
di tegole rosse, di fumo,
per restare lì, ma invisibile,
essere presente in tutto, ma lungi,
conservare la mia identità oscura,
legata al ritmo della primavera.

Filippo Renato Vacca

In questo ultimo periodo sono successe un paio di cose che mi hanno lasciata come davanti ad un muro altissimo e indistruttibile. Prima di tutto voglio precisare che sono una persona molto sensibile, che sta male molto facilmente per le persone. Questo fatto è accaduto poco tempo fa, a Capodanno su per giù. Ero ad una festa a casa di amici e conoscevo quasi tutti, tranne alcune ragazze. Fatto sta che mi sono legata subito a queste persone che ho conosciuto e mi hanno in qualche modo aiutata. Potrebbe venire in mente questa domanda “Aiutata da cosa?”. È un argomento molto delicato in realtà. In sostanza, avevo appena avuto una discussione molto pesante con il mio fidanzato: avevamo quasi intenzione di finirla lì. Stiamo insieme da quasi 1 anno e 5 mesi. È tanto lo ammetto, ma noi ci troviamo abbastanza bene nonostante le difficoltà che incontriamo ogni giorno. In quel contesto ero totalmente spaesata, come se mi fossi intrufolata in un bosco al buio e non avessi una torcia con me per vederci un po’ più limpido. Mi è crollato il mondo addosso, anche perché erano settimane che si ripresentavano questi suoi atteggiamenti che, in qualche modo, mi distruggevano. Ha in parte influito nella mia attenzione in classe e sulla mia salute. Diciamo che come fatto della vita in se non è molto significativo, ma per me lo è stato. Come Filippo Timi aveva questa voglia irrefrenabile di comunicare, ma non poteva, nello stesso modo io volevo balzare fuori da questa bolla di sofferenza e guardare tutto con gli occhi di prima, senza dover nascondere gli occhi rossi e gonfi di chi non riesce a liberarsi del proprio “mostro” interiore.

Silvia Remor

Skianto è stato il primo spettacolo che ho visto a teatro, non contando le opere liriche. Me lo aspettavo molto più noioso, mentre mi ha tenuta con gli occhi fissi sul palco per tutta la durata dello spettacolo. Filippo Timi è riuscito a dominare il palco da solo per oltre un’ora e mezza grazie al suo carisma. L’auto biografia di questo bambino con un ritardo mentale ha interessato persone di tutte le età, come era ben chiaro quella sera: si vedevano dalle signore in pelliccia, intere famiglie e noi adolescenti. Ammetto che all’inizio non capivo bene l’ambientazione e tutto nella mia mente era un po’ confuso. La parte che mi ha colpito di più invece è stata verso la fine, quanto tutto ha iniziato a diventare più cupo e freddo.
Quello che mi è rimasto dello spettacolo sono tutti i pensieri del piccolo Filippo, che dopotutto non sono così diversi da quelli di un bambino “normale”.

Matilde Dal Prà 

Come in una bolla.
Invisibile, impercettibile.
Vedo un ago.
Lo punto contro questa,
ma non accade niente.
Inizio però a vedere ciò che vive all’esterno di questa bolla.
Un mondo colorato,
pieno di persone!
Ma io rimango qui.
Dentro a questa gabbia che nessuno vede,
che nessuno sente.
Rimango rinchiusa nei miei stessi pensieri,
fino a farli diventare così tanti
che si sommano, l’uno sopra l’altro.
E così io aspetto.
Aspetto una mano amica, un sorriso.
Niente di ciò arriva.
Solo un violino,
pitturato di una bella vernice marrone.
Lo prendo.
Inizio a suonarlo.
E così la bolla si rompe,
escono tutti i pensieri.
Suono fino ad avere male alle mani.
Ad un certo punto smetto.
Poso il violino.
E la bolla si ricrea, ancora.
Anita Ruaro

Sullo spirito stremato sento
sassi segreti,
schiacciano senza scrupoli sentimenti stanchi
sensazioni solitarie.
Sullo sfondo scopro stimoli sbiaditi.
Silenzio.
Seguo scie sbagliate,
sopporto solamente stare sola.
Sempre sola, sempre sola

Con questo breve tautogramma, scarabocchiato in fretta su un quaderno di scuola, voglio descrivere la mia situazione dell’anno scorso, un periodo nel quale, senza un apparente motivo, mi sono distaccata da tutti: amici, familiari, compagni di classe… trovando la serenità praticamente solo nei momenti in cui ero sola.
Un periodo nel quale non trovavo stimoli in nulla, andavo avanti stancamente, con la consapevolezza di non essere capita e di stare facendo un grande casino, ma senza la voglia di spiegarmi o di cercare di risolvere la situazione. Mi sentivo incapace di provare sentimenti normali, erano sempre amplificati, ma comunque velati da una cortina di noia, indifferenza.
Un periodo triste, fatto di alti e bassi, difficile, ma, nonostante ciò, di crescita interiore, conoscenza di me stessa, rafforzamento.
Forse ora sono pronta a tornare nel mondo.

Angela Nardello 

Personalmente, credo di non aver mai avuto, fino ad ora, a che fare con dei “cancelli” che mi abbiano sbarrato la strada. Mi ritengo fortunato, ma nella vita non si sa mai…. Se fosse, mi piacerebbe seguire l’esempio del mio prozio Agostino.

Agostino (oggi 74enne) all’età di 16 anni stava trattando dell’esplosivo, al tempo ordinaria amministrazione. Se non che qualcosa andò storto, l’esplosivo scoppiò in condizioni errate e sulle mani di Agostino. Questo fatto rischiò di costargli la vita ma se la cavò (per usare un eufemismo) con l’amputazione di entrambe le braccia fino all’altezza del gomito. Inutile dire che da quel giorno la sua vita fu più che compromessa, le azioni quotidiane erano diventate pura utopia e al tempo, viste le diverse condizioni di vita rispetto ad oggi e dato che l’attenzione alla disabilità era ancora lungi dal venire, tutte le cose che diamo per scontate venivano a compromettersi. Agostino non cedette, e sotto consiglio della sua assistente sociale riprese gli studi, fino a laurearsi in lingue all’università di Bologna. E cinquanta anni fa non era da tutti… neanche la scelta della facoltà… quando si dice la lungimiranza…

Ma il motivo per il quale ammiro questa persona è un altro: correva l’anno 1965 quando, nonostante tutti i cari gli consigliassero di rinunciare, decise di prendere la patente. La sua testardaggine venne premiata: “non l’ha mai fatto nessuno? Bhe, vorrà dire che il primo sarò io, qualcuno deve pur cominciare”. E così è stato.

Ho raccontato questi fatti per sottolineare quanto questo apparente “cancello sbarrato” abbia influito sulla vita di Agostino: all’inizio gli complicò non poco la vita, poi insistette e a Bologna si laureò e conobbe la sua futura moglie (oggi due figli e tre nipoti) e divenne il primo in Italia a saper guidare con le protesi al posto delle mani. Fa ridere a pensarci.

Questi metaforici cancelli sbarrati vennero spalancati a bordo di quella orribile (ma per lui meravigliosa) Fiat 127.  Giallo senape, come andava di moda all’epoca!

Edoardo Mario Francese

Il primo esempio di cancello sbarrato è quello a cui possiamo assistere ogni giorno, vedendo l’approccio dogmatico con cui le persone intorno a noi si relazionano al concetto di Verità, dimenticandosi che anch’essa è solo un punto di vista,essendo così carcere e carcerieri di se stessi.
Un cancello sbarrato,può essere per l’uomo la censura e l’incarcerazione ossia l’impossibilità di poter comunicare qualcosa di diverso o di incongruo a ciò che si è abituati a pensare,di fare quindi controinformazione.
Quindi il cancello sbarrato dell’ortodossia politica o della sua intolleranza quando si trasforma in totalitarismo o processo farsa è forse quello che prima mi salta in mente,avvalendosi di storie di personaggi storici più o meno illustri come un Socrate, un Malatesta, un Galileo, un Matteotti o un Pinelli.

Per rendere più concreto questo concetto ho pensato di mettere la canzone “Un Blasfemo” tratta dall’album “Non Al Denaro Non All’amore Nè Al Cielo (1971)” di Fabrizio De Andrè

Mai più mi chinai e nemmeno su un fiore
Più non arrossii nel rubare l’amore
Dal momento che Inverno mi convinse che Dio
Non sarebbe arrossito rubandomi il mio
Mi arrestarono un giorno per le donne ed il vino
Non avevano leggi per punire un blasfemo
Non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte
Mi cercarono l’anima a forza di botte
Perché dissi che Dio imbrogliò il primo uomo
Lo costrinse a viaggiare una vita da scemo
Nel giardino incantato lo costrinse a sognare
A ignorare che al mondo c’e’ il bene e c’è il male
Quando vide che l’uomo allungava le dita
A rubargli il mistero di una mela proibita
Per paura che ormai non avesse padroni
Lo fermò con la morte, inventò le stagioni
Mi cercarono l’anima a forza di botte
E se furon due guardie a fermarmi la vita
È proprio qui sulla terra la mela proibita
E non Dio, ma qualcuno che per noi l’ha inventato
Ci costringe a sognare in un giardino incantato
Ci costringe a sognare in un giardino incantato
Ci costringe a sognare in un giardino incantato

Francesco Strobe