Le avventure di Numero Primo, prima ancora di essere uno viaggio attraverso il nostro futuro, scandagliato in profondo nel nostro rapporto con la tecnologia,
è una storia d’amore, quella tra Ettore e suo figlio.
Più di tutti gli altri momenti, per quanto colmi di tensione e di aspettativa, il punto che ha toccato più sensibilmente le corde del mio cuore è stato lì, quando Numero Primo si staglia in cima alla balconata e ad Ettore si fermano i battiti.
Il Momento parte inaspettatamente da un episodio dei più esilaranti e caotici nell’intero spettacolo: rappresentanti di etnie diversissime tra loro si scontrano e si arrovellano confusamente attorno a una diatriba economico-matematica che pare irrisolvibile. Accuse, minacce, domande volano sotto casa di Ettore, che scende e si autoelegge come giudice pacificatore: i racconti sono confusi e persino le autorità più alte e “competenti” non arrivano a sciogliere la questione. All’improvviso, guardando in alto, ci si accorge di un bambino che, salito su un poggiolo, sta in equilibrio sulla ringhiera, fissando la folla di persone in basso.
Il poggiolo è quello della casa di Ettore.
Il bambino è Numero Primo.
Appena realizza la cosa, Ettore scatta. Corre verso casa e poi su per tutti i piani che lo separano da suo figlio. Corre a perdifiato, Ettore, contando che è un fumatore accanito e che di fiato da perdere non ne ha molto. Si ferma, giura che smetterà di fumare se riuscirà a salvare suo figlio, impreca, riprende la corsa. Finalmente arriva: nel suo appartamento c’è la capra.. e anche Numero Primo. Appena il bimbo ha visto suo padre è sceso dal poggiolo e gli si è slanciato in contro.
Lo abbraccia e chiede scusa al suo papà, come se sapesse di aver fatto preoccupare Ettore in modo indicibile, ma allo stesso tempo come se fosse stata una cosa necessaria, perché Numero Primo ha risolto la diatriba.

Eccolo, il Momento dell’intero spettacolo, perché in quel “Scusa, papà!” c’è più umanità di quanto sia trasmissibile in altre parole.

Iris Smiderle