Di porte chiuse nella vita ne ho trovate, che sia per la mia timidezza che mi impedisce di aprirmi subito e d’altro canto quando parlo risulto scontrosa e superba. I miei difetti di vista che mi hanno creato diverse difficoltà soprattutto con il percorso di studi che sto facendo o l’ansia che mi ha divorato l’anno scorso e mi ha fatto chiudere in me stessa. Ma la “botta” più forte di tutte è senza ombra di dubbio il mio infortunio. Ero andata a Vittorio Veneto per una gara di judo, sport che faccio da sempre, ed era più di una semplice gara infatti era la qualificazione agli italiani. Ho vinto, ero la prima, la migliore del Veneto. Avevo una settimana per allenarmi per poi andare a Roma, la finale mi aspettava. Un allenamento pesantissimo, non volevo mollare anche se il male era insostenibile… Mi hanno fermato i maestri e i miei compagni, sono stati loro a farmi sedere perché io non volevo mollare. Il dolore non passava anche da ferma, siamo andati in ospedale. Piangevo, facevo fatica a respirare, fitte fortissime poi le parole dei medici “ha la troponina sballata, preferiamo tenerla in osservazione per questa notte”. Troponina? Si, l’enzima che preannuncia l’infarto. Mi hanno tenuto una settimana in ospedale per capire cosa avessi. Ho forzato così tanto i muscoli che si sono rotti, letteralmente e così si è rotto anche il mio sogno di andare a Roma, di far gare e muovermi mi faceva così male che ho smesso di allenarmi. A me non si è chiusa una porta in faccia, a me è caduto tutto il mondo addosso. Non ero più in grado di fare quello in cui un attimo prima ero la migliore. Solo ora, dopo due anni, ho riniziato ad allenarmi.

Matilde Massalin

Uno dei miei cancelli sbarrati è sempre stato lo sport. Io non sono mai stata molto portata per l’attività fisica e ciò mi ha fatto sentire più volte esclusa e diversa dagli altri. Anche se non sembra lo sport è un aspetto importante della vita delle persone: per esempio alle medie non si parlava d’altro che delle gare vinte da ciascuno nello sport che praticava o dei risultati raggiunti da ognuno nei test di motoria.
Educazione fisica, infatti, è sempre stata una delle materie in cui faccio più fatica e ancora oggi raggiungo a malapena la sufficienza.
Proprio a causa di queste mie difficoltà, soprattutto alle scuole medie, i miei compagni di classe tendevano ad escludermi e a ridere di me.
Ciò, unito al fatto che ero un po’ strana di mio, mi faceva sentire sola ed esclusa.
Ora, però ho superato, almeno in parte, queste difficoltà e a farlo mi hanno aiutato:
-iniziare il liceo classico, dove ho capito che molte delle mie stranezze non sono solo mie ma anche dei miei compagni di scuola, e collegato a questo il fatto di aver trovato una classe che, invece di ridere di me, mi spinge sempre ad impegnarmi e dare il massimo, per esempio tifando per me durante i test di motoria;
-cominciare a frequentare la scuola di circo “Circo in valigia” dove ho imparato, e sto ancora imparando, che non è importante riuscire in qualcosa o raggiungere un certo risultato ma piuttosto provare un po’ di tutto e che se ci tieni a raggiungere un obiettivo devi continuare a provare e non arrenderti la prima volta. Inoltre fare circo mi piace perché è uno sport sia singolo che di squadra: quando, durante uno spettacolo, esegui il tuo numero sei da solo in pista però lo spettacolo viene bene grazie al contributo di tutto il gruppo.
Da questo ho imparato chele difficoltà rimangono però si può sempre provare a superarle.

Credo che questa canzone spieghi (meglio di come potrei mai fare io) quanto il giudizio altrui possa far male e, soprattutto, quanto possa avere una grande influenza nel nostro modo di essere.
Dal momento che non ho ancora raggiunto i miei obiettivi, non riesco a rivedermi nella seconda parte tanto quanto mi rivedo nella prima, ma noto comunque parecchi punti in comune: dover diventare più forti, avere la necessità di costruirsi un’armatura, reincarnarsi nel “corpo di un corvo”.
Queste espressioni rappresentano tutte un modo di scavalcare un cancello sbarrato lasciando però indietro, probabilmente impigliato nelle inferriate, un pezzo di sé. Il pezzo più ingenuo e fragile, quello più puro e delicato. È la prima battaglia vinta e allo stesso tempo persa contro sé stessi.

Miriam Osele

Nella mia vita ho avuto pochi cancelli sbarrati, chissà quanti ne avrò in futuro, ma uno più di tutti mi è stato molto difficile da accettare.
Sono cresciuta con un papà batterista e insegnante di musica e quest’ultima in generale era la mia passione più grande.
Mio papà mi ha da subito educata all’ascolto della musica e, visto che mi piaceva anche danzare, ho combinato i due interessi chiedendo ai miei genitori di iscrivermi ad un corso di danza.
Nel frattempo il mio amore per la musica aumentava, così iniziai anche dei corsi di pianoforte a soli sei anni.
Suonai quello strumento per quattro anni, poi abbandonai il corso perché volevo imparare a suonarne un altro che sarebbe diventato il mio grande amore: il flauto traverso.
Andando in una scuola media con indirizzo musicale, mi dedicai per tre anni allo studio di quello strumento.
Sinceramente me la cavavo davvero bene e come tutti quelli che sanno di avere una propensione in più degli altri per qualcosa, sognavo in grande, precisamente di poter entrare a far parte di una delle migliori orchestre del mondo.
Ero consapevole che avrei dovuto impiegarci molto tempo e rinunciare a tante altre cose, ma ero disposta a farlo perché era un grande sogno per me.
Alla fine della scuola media, mi consigliarono di frequentare il liceo classico e il conservatorio.
Senza pensarci due volte mi iscrissi al conservatorio di Vicenza, oltre che al liceo classico, ed ero felicissima, mi sembrava di aver raggiunto finalmente il mio obiettivo.
Purtroppo non sempre tutto è rose e fiori.
Impiegavo due pomeriggi a settimana per arrivare a Vicenza e frequentare i due corsi: uno individuale e l’altro di solfeggio.
Dall’altra parte avevo iniziato a frequentare una delle scuole più impegnative di questi tempi che non mi facilitò certo le cose: infatti il carico da studiare era troppo e si faceva sentire sempre di più.
Cercai di farmi spostare l’orario delle lezioni di conservatorio per riuscire a gestirmi meglio lo studio didattico, ma niente. Ho trovato tutt’altro che un cancello aperto. Nessuno mi veniva incontro.
Gli insegnanti del conservatorio, che dovrebbero incentivare noi giovani a frequentarlo, fecero tutto il contrario. Mi portarono ad abbandonare tutto.
Per problemi di orari e studio, ho dovuto rinunciare alla mia più grande passione.
Non mi sentivo più nessuno.
Ho imparato a mie spese che nella vita nessuno ti viene incontro, devi avere fortuna tu nel poter disporre dei mezzi giusti che ti permettono di raggiungere il tuoi obiettivi.
Così ho rinunciato per sempre a suonare in una grande orchestra e a costruirmi il mio futuro da musicista.
Ma accade sempre tutto per una ragione, ho pensato.
Infatti, frequentando il liceo classico, mi sono accorta che un nuovo interesse sta crescendo per una materia: diritto ed economia.
Probabilmente quella è la mia strada e tutto ciò è servito per farmi arrivare qui.
Rimango comunque felice del mio percorso, perché nonostante non sia andata a finire come speravo, mi sono comunque arricchita interiormente e so quanto può dare la musica.

Arianna Zocca

Un mio cancello sbarrato mi si è presentato quando ho trovato un piccolo di merlo caduto da un nido davanti al cancello della mia casa ancora cinque anni fa. Da subito ho provato a ripararlo nel cotone e a nutrirlo con semi o vermi comprati nei negozi di articoli da pesca, ma il piccolo è morto dopo qualche giorno e io mi sono sentite proprio “storta”. Non mi capacitavo e ancora oggi non mi capacito di come un essere umano dotato di coscienza,intelligenza, capacità di ragionamento, due pollici opponibili e la possibilità di procurarsi in fretta tutto ciò che gli serve grazie al denaro non sia riuscito a fare sopravvivere un piccolo uccello che risponde semplicemente a stimoli di sete,fame e freddo. Da allora ho capito che non serve essere classificati come esseri più intelligenti se si è così impotenti e incapaci. Questa è la mia esperienza da “disabile” della vita.

Sveva Martini 

Nella mia vita sono sempre stata fortunata per non aver incontrato mai veramente dei cancelli chiusi, però ho dovuto affrontare varie “sfide” che tutti potrebbero incontrare. Una di queste è stata la separazione dei miei genitori avvenuta l’anno scorso: in questa situazione mi sono sentita molto distante, come se non fossi io la figlia dei miei genitori ma una persona esterna che guardava dall’alto, non riuscivo proprio a crederci. Purtroppo è stato un grande disagio che non ho raccontato quasi a nessuno e sono stata davvero male, e anche con la scuola non andava bene per i continui litigi dei miei genitori. Il tutto è continuato per 2 anni e si è concluso quest’estate, ma ancora oggi quando vedo quelle belle famiglie che si vedono magari al ristorante o al cinema, un po’ di nostalgia ritorna. Io ora sto bene e sto andando avanti con la mia vita, ma spero che in futuro quando magari avrò anch’io una famiglia non accada anche a me, perché si soffre molto, quasi come la perdita di una persona.

Lucia Gussetti