Due mondi contrastanti, due zolle tettoniche confinanti, a rischio di collisione, vicine, ma irrimediabilmente separate, così Marco Paolini, in Le avventure di Numero Primo, ci descrive il rapporto contrastante, alienante, quasi distopico tra Natura e Tecnologia.
In uno spettacolo ben costruito nella sua varietà e poliedricità drammaturgica, contornato da una scenografia scarna e volta all’essenzialità, elemento chiave che, a mio avviso, poteva essere reso ulteriormente, Paolini ha saputo trattare coraggiosamente e sapientemente tematiche per noi quanto mai attuali, mantenendo sempre alta l’attenzione e l’ilarità del pubblico in sala.
Non solo. Paolini, da poco padre, affronta in un futuro tutt’altro che lontano, 5000 giorni da oggi, il tema di una Paternità improvvisata, quasi inaspettata, finita nel momento stesso del suo inizio.
Costanti, continui, assidui, forse eccessivi (?) i riferimenti e gli stimoli che Paolini inserisce liberamente nel corso della narrazione. Impossibile cogliere e comprendere tutto.
Essenziale dunque il ‘bis’ conclusivo, per capire, per mantenere fino in fondo un rapporto con il pubblico, per lasciare una riflessione oltre lo stesso spettacolo.

Elisa Ferretto

“Tecnologia, tutto è possibile!” esclama a pieni polmoni la voce di Paolini sul palco poco dopo l’inizio del suo spettacolo. Le avventure di Numero Primo è un accumulo intenso di riflessioni profonde e pensieri geniali, tanto concentrato da mettere talvolta in difficoltà lo spettatore che tenta di afferrare tutti gli spunti e le provocazioni che gli vengono dati, quasi eccessivi per una sola rappresentazione. Tuttavia, quando ciò viene narrato da una voce come quella di Marco Paolini non è possibile pensare ad uno spettacolo pesante o difficile da seguire. Con una narrazione divertente ma seria nello stesso momento e una retorica assolutamente invidiabile, egli è riuscito a mantenere coinvolto lo spettatore fino alla fine, all’interno di una scenografia minimale e secondaria. A mio parere, questa appuntamento teatrale può essere riassunto in tre sole parole, un artista encomiabile.

Elena Mioni

Le avventure di Numero Primo, prima ancora di essere uno viaggio attraverso il nostro futuro, scandagliato in profondo nel nostro rapporto con la tecnologia,
è una storia d’amore, quella tra Ettore e suo figlio.
Più di tutti gli altri momenti, per quanto colmi di tensione e di aspettativa, il punto che ha toccato più sensibilmente le corde del mio cuore è stato lì, quando Numero Primo si staglia in cima alla balconata e ad Ettore si fermano i battiti.
Il Momento parte inaspettatamente da un episodio dei più esilaranti e caotici nell’intero spettacolo: rappresentanti di etnie diversissime tra loro si scontrano e si arrovellano confusamente attorno a una diatriba economico-matematica che pare irrisolvibile. Accuse, minacce, domande volano sotto casa di Ettore, che scende e si autoelegge come giudice pacificatore: i racconti sono confusi e persino le autorità più alte e “competenti” non arrivano a sciogliere la questione. All’improvviso, guardando in alto, ci si accorge di un bambino che, salito su un poggiolo, sta in equilibrio sulla ringhiera, fissando la folla di persone in basso.
Il poggiolo è quello della casa di Ettore.
Il bambino è Numero Primo.
Appena realizza la cosa, Ettore scatta. Corre verso casa e poi su per tutti i piani che lo separano da suo figlio. Corre a perdifiato, Ettore, contando che è un fumatore accanito e che di fiato da perdere non ne ha molto. Si ferma, giura che smetterà di fumare se riuscirà a salvare suo figlio, impreca, riprende la corsa. Finalmente arriva: nel suo appartamento c’è la capra.. e anche Numero Primo. Appena il bimbo ha visto suo padre è sceso dal poggiolo e gli si è slanciato in contro.
Lo abbraccia e chiede scusa al suo papà, come se sapesse di aver fatto preoccupare Ettore in modo indicibile, ma allo stesso tempo come se fosse stata una cosa necessaria, perché Numero Primo ha risolto la diatriba.

Eccolo, il Momento dell’intero spettacolo, perché in quel “Scusa, papà!” c’è più umanità di quanto sia trasmissibile in altre parole.

Iris Smiderle

Seduta nel divano, al calduccio sotto una coperta. abbasso un poco il volume del televisore e mi rivolgo a mia mamma, che tranquillamente si sta rilassando dopo una giornata di lavoro e mille impegni con la lettura di un libro al mio fianco.

“Mamma, ti ricordi dell’ultima volta in cui siamo andati a teatro?”

“Certo” mi risponde, ponendo il segnalibro tra le pagine e chiudendo il romanzo. “Non è stata quella volta che siamo andati a vedere il musical sulla storia dei Queen?”

“Sì, è passato un po’. Ma a te in generale piace andare a teatro? Che cosa ne pensi? Voglio dire, come ti senti quando vai a teatro?”

Guardandomi un po’ perplessa per la sfilza di domande insolite e improvvise, inizia a raccontare: “Dunque, il teatro mi piace molto anche se non lo frequento così spesso. Ho assistito a qualche spettacolo soprattutto con tuo padre e devo dire che sono quasi sempre state esperienze entusiasmanti e avvincenti, anche se qualche volta mi sono annoiata, per non dire addormentata (ma non dirlo al papà, eh!). È stato proprio tuo papà che mi ha fatto conoscere il teatro e tutt’ora mi propone di andarci, infatti penso che altrimenti non avrei visto rappresentazioni tanto spettacolari, perché di mia iniziativa dubito che avrei trascorso serate su quelle eleganti poltroncine rosse, davanti ad un palcoscenico. Sono parecchie le volte in cui avrei preferito stare a casa o andare al cinema piuttosto, ma alla fine mi sono sempre resa conto che me ne sarei pentita e avrei perso un’occasione importante per imparare cose nuove. Imparare, ho sempre pensato che andare a teatro consistesse proprio in questo, arricchire il proprio bagaglio culturale in un modo piacevole e leggero. Ma l’aspetto del bel teatro che ho sempre apprezzato maggiormente è quella sua capacità di coinvolgerti, di trasportarti all’interno ciò che racconta e farti dimenticare per un attimo tutti i problemi, le preoccupazioni, gli impegni di ogni giorno. A mio parere, quando uno spettacolo riesce a farti provare tali sensazioni, allora puoi avere la certezza che ciò a cui stai assistendo è degno di essere chiamato Teatro, con la T maiuscola.”

Elena Mioni 

Mi sentivo importante. Tutti i miei amici di solito andavano al cinema, mentre io, anche se per una sera soltanto, ero stata portata a teatro.
Mi sentivo importante perché pensavo che andare a teatro non fosse cosa da tutti.
Era dicembre e avevo appena compiuto 9 o 10 anni e fuori nevicava.
Quando entrai, sebbene mi sentissi già grande, con gli occhi di una bambina scrutai attentamente l’ambiente circostante e di fronte all’imponenza e alla maestosità del sipario, del palco e della sala che piano piano si riempiva, mi sentii piccola.
Ma la vera magia ebbe inizio solo quando cominciò lo spettacolo.
Seguii con lo sguardo gli attori che recitando a volte alta, quasi urlando, le loro parti, si muovevano da una parte all’altra del palco e mi chiesi anche se io sarei mai riuscita a imparare così tante battute.
Da quella sera di dicembre cominciai a provare delle emozioni tali che ancora oggi, a più di quarant’anni, non solo mi portano, ma addirittura trasportano a teatro e nel teatro.

Matilde Cazzola

Ballare sul palco di un teatro é un’emozione unica. Le luci, i vestiti, il pubblico, le scenografie.. sono molto suggestivi. Ricordo tutto come se fosse ieri. L’agitazione mi accompagnava già dalla prova del costume qualche settimana prima dello spettacolo fino al fatidico momento in cui salivo sul palco. Era una liberazione per me, riuscivo ad esprimere tutta me stessa attraverso la danza e cercavo, il più possibile, di trasmettere le emozioni a chi mi guardava.

Il mio sogno era fare un passo a due con l’amore della mia vita, ma, dato che mi sono sposato un uomo tutt’altro che aggraziato, purtroppo non é stato possibile.

Giulia Ciscato

 

Freddo. Buio. Fatica. Una storia raccontata sotto le stelle, nelle trincee abbandonate e silenziose, cicatrici della montagna, non ancora del tutto sanate.
È facile immaginare di esser tornati indietro di cento anni, di essere quei ragazzi spaventati, infreddoliti, confusi. Nessuno sa ciò che deve fare, perché lo deve fare. “Che ci facciamo qui?”, si chiedono tutti, in mille dialetti diversi, con mille accenti diversi. Nessuno lo sa. Assurdo.
Freddo. Buio. Fatica. Una storia raccontata sotto alle stelle. Freddo. “Ha fatto più morti il freddo che i cannoni”, dice mio papà. “Ci credi?”, aggiunge con gli occhi azzurri fissi nel vuoto, “sono morti aspettando qualcosa che non conoscevano, per un motivo che non conoscevano”.

 

Rachele Sandonà

COGOLLO RICCARDO: Buongiorno,può presentarsi?

LUISA SALMASO: Luisa Salmaso,nata nel 1964,professione insegnante di scuola secondaria di secondo grado.

CR: Molto bene,iniziamo.Che tipo di esperienze ha avuto lei con il palcoscenico?

LS: Allora,non sono mai stata un’attrice,ma sono stata più volte a teatro,da sola o con la famiglia.

CR: Ha mai avuto particolare interesse verso questo ambiente?

LS: Si,mi piace assistere a spettacoli recitati da attori che stimo ed apprezzo.

CR: C’è una rappresentazione a cui è particolarmente legata?

LS: Si,due.L’Aulularia di Plauto,che ho visto alle scuole superiori:fui coinvolta nella scena da un attore.Io non risposi, non avendo capito la domanda che mi venne posta,ed in seguito l’attore che mi aveva interpellata mi chiese quale fosse stato il motivo del mio silenzio.Il secondo è “La vita di mozart”,una rappresentazione teatrale per bambini. In quell’occasione fui colpita dalla capacità e dalla bravura del regista.

CR: Che sensazione le dà il teatro?

LS: A differenza della televisione il teatro coinvolge lo spettatore,e quindi ti permette di provare emozioni in modo molto più intenso;questo ovviamente se lo spettacolo è costruito in maniera tale da permettere un tale immergimento. Tutto ciò,davanti ad uno schermo è molto più difficile.

CR: Cosa pensa del teatro moderno?

LS: Non so cosa sia,anche se è difficile dare una definizione precisa. Se dovessi dare una definizione direi che è teatro scritto e diretto da scrittori contemporanei.

CR: Si ricordala sua prima volta a teatro?

LS: Credo fosse con la scuola, alle superiori.L’Aulularia dunque.

CR: Se dovesse associare il teatro con una parola,quale sarebbe?

LS: Emozioni,senza dubbio.

CR: Perchè?

LS: Perchè penso sia il compito del teatro suscitare e scatenare emozioni nello spettatore

CR: Quante volte vai a teatro all’anno?

LS: Due o tre. Sicuramente non quanto mi piacerebbe.

CR: Molto bene,grazie per il suo tempo.

LS: Grazie a lei,quando vuole.

Riccardo Cogollo

Silvia ci ha chiesto come compito “per casa” di chiedere a qualche membro della nostra famiglia se  avesse mai partecipato, come spettatore o attore, ad una esibizione scenica.

Ho chiesto a mia mamma, e ho scoperto che quando ero piccola (una decina di anni fa) è tornata a teatro dopo tanti anni, per vedere una sua cara amica mettere in scena la storia di Madre Teresa di Calcutta.

Le ho chiesto come si è sentita durante questa esibizione e se le fosse piaciuta, e lei mi ha raccontato che per tutta la sua durata si è sentita come rapita e totalmente immersa in ciò a cui stava assistendo; come in un’atmosfera surreale.

Trovo che gli attori essendo riusciti a trasmettere qualcosa del genere abbiano raggiunto uno degli obiettivi più importanti secondo me, e trovo che sia bellissimo.

Giulia Chiumento

<<Sai Gaia, non serve un teatro per fare teatro>>. E’ partita così mia zia alla domanda “Qual è stata la tua esperienza più significativa con il teatro?”.
Certo, un modo un apparentemente insolito di rispondere, ma poi continuò la sua risposta :<< Era l’estate di tre anni fa, precisamente nel ‘lontano’ agosto del 2015>> disse con un filo d’ironia.
Poi riprese:<< Mi era stato proposto di partecipare a un progetto chiamato ‘Teatro in casa’: dovevo rendere la mia corte un teatro. Ed io subito entusiasta accettai molto volentieri.
Il pomeriggio del giorno dello spettacolo lo passai a sistemare ciò che serviva e, non ti nascondo, anche con la preoccupazione che qualcosa potesse andare storto.
Insomma, ospitare una rappresentazione teatrale a casa tua non è una cosa da tutti i giorni. Ma veniamo al dunque. Quella sera fu un vero e proprio successo; la corte si era riempita di gente e, quando l’attrice finì di recitare, ottenne infiniti applausi. Era bastato veramente pochissimo per far emozionare grandi e piccoli. Si era creata una sorta di atmosfera familiare magica. C’erano perfino delle persone che per assistervi si affacciavano ai propri balconi e alle proprie finestre. Questo per me è il teatro: basta un pubblico ed una voce che ti entri nel cuore!>>
Gaia Maria Rizzato