Sussulto

Non appena varco la soglia della platea ho un sussulto. Mi guardo attorno e vedo che sono tutti seduti sul bordo della sedia, con le gambe accavallate in una specie di groviglio e la schiena ricurva sopra di loro. Alcuni ripongono frettolosamente le mani nella loro borsa per trovare un oggetto misterioso o forse semplicemente una via di fuga veloce; altri quella via di fuga l’hanno già trovata e si dirigono di corsa in direzione dei gradini che conducono ai posti in galleria; altri ancora alzando lo sguardo al soffitto scambiano col proprio vicino impressioni relative agli ultimi lavori di restauro del Teatro Civico. E poi ci sono io che – “Signorina, dritta da questa parte” accetto il destino che la scritta «palco» sul mio biglietto ha riservato per me e sprofondo sulla seggiolina gialla. Mi guardo attorno, stravolta da un punto di vista diverso, cinque gradini più in alto. Ricordo di aver vissuto una situazione simile solamente a scuola, al momento dell’interrogazione. Eppure ora è diverso niente banchi, niente cartelle dove nascondere la testa sperando di non essere notati, niente giustificazioni. Lo spettacolo è iniziato, ormai fai parte di un gioco di cui non ti hanno spiegato le regole e, che tu lo voglia o meno, se sei coinvolto non puoi tirarti indietro.
Allo stesso tempo imprigionato e nudo senza la tua coperta di linus mentre il Macbeth ti sfiora anima e corpo, s’insinua con prepotenza nella tua mente e improvvisamente ti conduce in un limbo, a metà strada fra l’essere spettatore e attore, vittima e carnefice.

Eleonora Sartore