Medicina per la nostalgia

Ho intervistato mia zia riguardo al suo rapporto con il Teatro, pensando di trasporre l’intervista in un unico testo, ossia il brano che segue. Tratto di una nostalgia per l’Arte, una nostalgia che si protrae sin dall’infanzia, e che troverà come sua cura immediata una serata a teatro. 

Durante una sconosciuta e calda sera d’estate sono seduta su una panchina, aspettando un amico, per poi andare a bere qualcosa assieme. La città brilla di una luce insolita, e i lampioni delle strade mi rimandano a un ricordo lontano, instillando in me inspiegabile nostalgia. Sotto la pelle vaporosa e umida, sento che qualcosa smuove i nervi, pervade la mente, e colpisce dritto alla reminiscenza. Musica. Un enorme teatro. Ansia. Ora ricordo: il viaggio in Belgio con il coro della scuola. Quella è stata un’esperienze veramente appagante: sentire le mille voci del pubblico da dietro il sipario; promettere a se stessi di non dimenticarsi le parole dei brani, che di lì a breve sarebbero stati cantati; ripromettersi di abbandonare la paura; sentire secca la faringe, perché si ha appena infranto tale promessa. Nonostante tutto, però, trovarsi su quel palco e farne parte anche solo per pochi istanti sono un’emozione che resuscita l’anima della persona, le fa toccare con mano le stelle che aleggiano nel cielo dello Spettacolo, racchiuso nel cosmo dell’Arte e dell’Espressione. È ora di andare, le gambe si sollevano e i piedi seguono Stefan. Ci sediamo nei pressi di un giardino, ordinando da bere un paio di coca-cola. Egli parla, ride, mi fa delle domande e io rispondo a monosillabi. Allora, Stefan si avvicina di fianco al mio orecchio e mi chiede se tutto andasse bene. Non gli risposi subito, mi disincantai, e ripresi con una risata: tutto andava alla perfezione. Ma egli non poteva non accorgersi che io ero strana. Insiste. Dunque, gli confesso la mia nostalgia, e lui fa una cenno con la testa, come segno di assenso a un accordo che solo lui conosceva. Mi sento afferrare la mano e, prima che me ne accorga, sto correndo verso la sua macchina, parcheggiata qualche strada più in là. Non risponde alle mie domande, e non riesce a togliersi quel sorriso idiota dal viso. Dove stiamo andando? Mistero. Corsa. Una volta rinunciato a scoprire quale fosse la meta, comincio ad osservarmi attorno, sperando non mi porti in un bosco, o che so io. Siamo in autostrada: il peggio è stato evitato. Scopro che siamo diretti a Belgrado. Contemplo la espressione da impeccabile beota che si era pietrificata sulla sua faccia. Mi rassicura dicendomi che tornerò ai giorni della mia infanzia, che il posto in cui mi stava portando sarebbe stato la medicina per la mia nostalgia. Gli credevo, in maniera relativamente titubante, ma gli credevo. Scendiamo dalla macchina e vedo erigersi dinanzi a me una struttura monumentale, magica: era il Teatro nazionale a Belgrado. Vi ero stata da piccola, e la emozione era la stessa. Guardo con occhi eccitati Stefan. Egli è dispiaciuto perché all’interno non vendono zucchero filato né caramelle, ma mi raccomanda di fare la brava in ogni cas0, di non disturbare chi si sarebbe seduto accanto a noi, e di non addormentarmi sino alla fine dello spettacolo. Lo ignoro guardandolo con occhi grati. Ci accomodiamo, e leggiamo il libretto di presentazione dello spettacolo: si trattava di Niccolò Macchiavelli e della sua amata Mandragola, che sicuramente ci avrebbe fatto ridere, pensai. Ansia. Freddo. La nostalgia mi divora, il pensiero di aver abbandonato il palco scenico mi rode dentro. Stefan mi osserva, ma non dice niente, si limita a stringermi la mano. Gli occhi spaziano attorno e vedono un bellezza secolare: la bellezza di un teatro che non si è arreso mai, e che, nonostante le diverse generazioni, ha sempre accolto chiunque avesse voluto godere della sua Arte. Silenzio, il sipario dalle tende di un velluto splendente apre la scena. Lo spettacolo mi ha incoraggiata, rigenerata, e limitato la mia nostalgia. Durante il tragitto di ritorno penso a quanto il Teatro sia stato gentile: anche se non ho vissuto in prima persona l’inscenamento, come fanno hanno fatto gli attori, questo mi ha permesso comunque di sentirmene parte. Ho riso tanto, mi sono divertita. Le luci e i scenari erano quotidiani, lasciando campo libero per i dialoghi e l’interazione attore-pubblico. Grazie Stefan. Grazie Teatro.

Marko Jovanovic