Con i ragazzi del Lab Critico della Campus Lab abbiamo intervistato gli attori e le attrici che stanno seguendo il laboratorio teatrale Campus Company, guidati da Ketty Grunchi.  Abbiamo chiesto loro perché hanno deciso di partecipare, come sta andando quest’esperienza e se sentono già che il teatro sta attivando in loro dei cambiamenti. Ascoltate le loro risposte

 

Riprese e interviste di Riccardo Cogollo, Alessandro Scala, Mattia De Agostini
Montaggio di Riccardo Cogollo

Ragazzi intervistati: in ordine Gioele Torresan, Giovanni Esposito, Alice Ceroni, Ambra Canderle, Michela Borriero, Giulia Lazzaretti, Erik Pancheri, Angela De Pretto, Fabio Pasin, Leonardo Giuponi, Alfred De Pretto, Mafalda De Pretto, Maddalena Gracioppo, Annachiara Candioli

 

Il disegno rappresenta mio padre che “sogna di sognare” a teatro, poiché eventi come, appunto, il teatro erano quotidiani nel periodo in cui viveva a Roma. Solo che, diciamo, la palpebra gli calava facilmente…

Sofia Costanza Perilli 

“Che cosa può avere in comune col teatro un povero vecchio come me? Ah, non scherziamo! Il teatro mica è nato ieri: era il 1948 ed io già avevo recitato in molte occasioni. Purtroppo, però, la mia carriera da attore fu piuttosto effimera e io, costretto ad andare a lavorare da mio nonno, ho abbandonato questa strada troppo presto. Ma tu, tu che sei giovane, con tutto quello che offre il mondo d’oggi, non lasciartele scappare occasioni del genere, che le passioni vanno seguite subito, senza pensare troppo al come, quando ti si presentano!”

“Piano nonno, non correre con le parole come fai di solito. Siediti un momento e spiegami com’è che tu hai recitato.”

“Dunque, non è che io abbia sempre recitato. All’inizio facevo il bigliettaio per aiutare la compagnia teatrale del mio paese, poi mi hanno proposto di occuparmi delle sceneggiature e dell’allestimento che servirà di spettacolo in spettacolo. Si vedeva, sai, che oltre alla capacità manuale avevo anche una vena creativa, io e quindi dopo qualche tempo il parroco mi ha lasciato recitare insieme alla compagnia. Non è che avessi fatto corsi: l’unico teatro che avevo visto prima di allora era quello fascista in cui mi portava la scuola. Però mi affascinava la recitazione e diciamo pure che me la cavavo bene per essere un principiante. Il primo – e ahimè ultimo – ruolo che ho avuto è stato quello del servo in una commedia del veneziano Goldoni. Come si chiamava, come si chiamava… Accidenti la vecchiaia, se non è vero che gioca brutti sch… Ho ucciso mio figlio, sì, era questo il titolo, Ho ucciso mio figlio.”

“Ma dove recitavate se non esisteva un teatro?”

“Dove capitava: nelle scuole, negli oratori, nelle mense. Non avevamo un palco, è vero, ma avevamo la gente e questo ci bastava.”

“Nonno, che mi racconti! Sapevo ne avessi fatte tante di cose nella vita, ma questa del teatro, ah, questa mai me la sarei immaginata! Cosa vuoi che abbia a che fare un ingegnere edile con il teatro, mi dicevo.”

“Ascolta un’ultima cosa: il teatro è per tutti. Io non ero molto colto, avevo solo la quinta elementare, ma ero scaltro, curioso, volenteroso, ed è questo che conta. Il teatro non crea barriere, le abbatte. Imprime sicurezza nell’esprimersi, potenzialità nell’individuo, padronanza nella persona. Il teatro dà voce. Almeno questo per me, poi non so…”

Eleonora Sartore

 

 

 

Al di là delle artificiose congetture spesso riferite al teatro, quale potrebbe essere la sua rappresentazione più trasparente e genuina? L’ho chiesto alla mia sorellina Chiara, consapevole che i suoi 7 anni abbiano tanto da raccontare.

Anna Marangon

 

 

Il teatro nello sguardo di mia sorella

 

Quando si è trattato di fare un’intervista a un familiare, ho subito pensato a mia sorella. Ha 10 anni e spesso la accompagno a vedere rappresentazioni teatrali, come “Cappuccetto rosso” e “Pinocchio”. Lei vede il teatro come un mondo della fantasia, in cui può immergersi pienamente, dimenticarsi della vita quotidiana e magari imparare qualcosa. Quando le ho chiesto se aveva altro che avrebbe voluto dire a riguardo mi ha stupita dicendomi che per lei il teatro è come una rosa che può regalare molte emozioni, può far sorridere come può pungere lo spettatore.

 

Il teatro è come una rosa

Cristina Alina Vaduva

Settimane fa ebbi l’occasione di parlare con mio fratello circa il tema del teatro. Lui ha 20 anni, io 18, non parliamo spesso se non di scuola in certe occasioni. Scelsi di discutere per un po’ di tempo con lui riguardo a Romeo e Giulietta: l’amore è saltimbanco della compagnia Stivalaccio teatro. Io e mio fratello nella nostra vita abbiamo visto insieme solo due o tre rappresentazioni teatrali, ma pure lui quel giorno concordò con me che quella in particolare fu la più interessante, o perlomeno la più divertente a cui assistere.
Un assistere che in realtà racchiude dentro di sé anche un partecipare in modo attivo allo spettacolo, cambiarne le sorti. Questo è ciò che ci rimase maggiormente impresso: la capacità degli attori di mutare il finale grazie ai suggerimenti del pubblico, improvvisare per creare sempre qualcosa di nuovo ed inaspettato. Mio fratello espresse inoltre una sua interessante riflessione dicendomi che oramai siamo sempre abituati ad essere degli spettatori passivi quando per esempio guardiamo quei numerosissimi film commerciali fatti con lo stampino. Il bello del teatro, infatti, sta anche nella varietà e creatività che gli attori insieme con il pubblico riescono a formare, mettendo insieme i propri pensieri e le proprie emozioni.

Stefano De Rigo

Non siamo tutti così bravi da capire i versi degli animali.

È una battuta ma contiene in sé molte ragioni che la portarono ad odiare il teatro. Non era mai andata a teatro, non che ricordasse, e andare all’olimpico era una buona scusa per iniziare.

Certo a 12 anni non si può pretendere di capire storie che nemmeno i grandi sono in grado di affrontare completamente. Ismene, Fedra e Aiace. Non li avevo mai sentiti nominare e l’attrice non me li ha spiegati. Non ne ho letto le storie e non le ho capite in scena. Il dramma di una sorella, che è sempre vissuta nell’ombra della sua famiglia, maledetta, masochista, omicida. Il dramma di una donna arsa alla passione e rifiutata, vecchia, non più bella, infedele. Il dramma di un guerriero, che non riesce a sostenere il peso della sua forza, il peso della sua infamia e della sua pazzia, alienato da sé stesso, privo della sua potenza, trafitto dal suo dolore. Il tutto condito da una buona quantità di francese, greco e versi animaleschi, monosillabici, gutturali, grattati sulla gola di una Pousseur d’alto livello e competenze canore. Sembrava un rito satanico.

Adesso non esagerare, rito satanico è molto pesante da dire.

Ma sì. In fondo sembrava un rito satanico, con quelle flebili luci, quelle urla da lontano. C’ erano anche le pelli degli animali che si gonfiavano. E poi le voci, che arrivavano da ogni parte, come se dall’attrice partissero per le pareti, rimbalzando sulle statue di una cornice teatrale suggestiva, finendo sullo scudo d’oro e le lastre di metallo sparse pe il corridoio di uno spazio scenico. Ma un lato positivo c’era: la musica. Partiva da dentro di lei e arrivava dentro di me. Ma nulla di più. Non siamo tutti così bravi da capire subito una storia, le scelte di un uomo, il dolore di una donna. Se non me lo avessi regalato tu, non avrei speso un’ora e mezza della mia vita per vedere uomini e donne di cui non conoscevo le storie, per sentire musiche che non ero in grado di apprezzare, in un luogo che dice molto solo se si riesce ad ascoltarlo. Non siamo tutti così bravi.

Adesso tu andrai avanti con la tua vita, presto dimenticherai lo spettacolo, la musica, i gesti, i volti. Non siamo tutti così bravi da capire le ragioni profonde delle cose, spesso ci fermiamo ad uno specchio opaco che riflette male le cause interiori, un buco sfocato nello stomaco. Sarai così brava da dimenticare tutto e saprai fra qualche anno di non essere mai andata a teatro. Ti siederai sulla poltrona, stanca dopo una giornata impegnativa. Troverai di fronte a te uno spettacolo, una meraviglia che ti riempirà i polmoni di un respiro fresco di amore e ammirazione. Allora sì, potrai dire che la Trilogia era un rito satanico, perché saprai cos’è un rito angelico. Potrai dire di non aver capito le storie di Ismene, di Fedra, di Aiace, perché ne avrai capite molte altre. Sarai così brava da dire sì ho capito, no non mi è piaciuto. Svilupperai un occhio attento ai dettagli, vedrai il fremito sotto la veste, il tremore della voce, e la potenza del suono. Sarai così brava da distinguere i colori, gli opposti, i conflitti. Capirai dentro di te, quale genere ti avvicina, quale si avvicina. Sarai così brava….

Rachele Dalla Vecchia 

Quando chiesi a mia mamma di descrivere il suo approccio più significativo con il teatro subito mi disse che ci doveva pensare poiché aveva partecipato a molti spettacoli e non sapeva decidersi, dopo un paio di giorni era ancora insicura dunque decisi di cambiare domanda e chiederle il primo ricordo che le tornava alla mente e lei mi rispose così:

«Sono stata molte volte a vedere spettacoli teatrali ma il pensiero più forte che mi riaffiora alla mente è quando ho scoperto quest’arte per la prima volta, ovvero al tempo delle elementari. Mi ricordo lo spettacolo che avevamo messo in scena “La porti un bacione a Firenze”: le emozioni forti, sia il divertimento che un po’ di paura, i colori per allestire il palcoscenico e anche un po’ d’invidia per i “preferiti” delle maestre che avevano le parti più belle, e infine l’orgoglio una volta finito tutto incrementato dai complimenti e i bacioni da parte dei miei parenti».

Emma Cariolato

F(rancesca): Sei mai stato a teatro, per una rappresentazione teatrale?

M(ichele): Si, certo. Principalmente con la scuola.

F: Indicativamente quante volte?

M: Penso non più di quattro volte.

F: E a vedere cosa? Ti ricordi?

M: Mi ricordo in particolare uno spettacolo sul tema del bullismo, mi ha colpito molto.

F: E quali sensazioni hai provato?

M: Era una rappresentazione che mostrava sia il punto di vista della vittima, e mi ricordo di essere rimasto molto colpito e inquietato, sia il ruolo del bullo, ma non lo capivo, perché avrebbe dovuto far star male qualcuno? Nonostante i mille motivi, non fino a questo punto!

F: Spiegati meglio

M: Nel senso che, nonostante possano esserci molti motivi per volere che una persona stia male, il bullismo è un estremo e raggiungerlo è davvero molto rischioso, sia per la vittima, che per il bullo. Sono esperienze che ricordi a vita.

F: Quindi ti è rimasto qualche insegnamento da quello spettacolo o lo ricordi per vari effetti speciali o luci?

M: Non penso di aver nemmeno notato le luci, tranne forse verso la fine, quando la vittima stava morendo. Mi sono ricordato in particolare di questo, perché, quando sono uscito dal teatro, avevo un senso di inquietudine intorno, che mi faceva quasi venire la nausea. Infatti poi, tornando a casa da scuola con l’autobus, ricordo che mi girava un po’ la testa.

F: Ricordi altri spettacoli che ti hanno colpito?

M: No, questo è stato quello che mi è rimasto più impresso, l’avevo visto in quarta superiore, mi pare.

F: D’accordo, grazie.

Francesca Catelan

Io ho scelto di intervistare mio padre, l’unico della mia famiglia ad essere realmente e fortemente appassionato di arte e di tutto ciò che la riguarda. Arte è anche la parola che lui collega al teatro, perché crede che essa sia qualcosa di meraviglioso tanto da emozionare chiunque sia pronto ad ammetterlo.

L’ultima volta che è andato a teatro è stata non molte settimane fa per vedere Il Padre , insieme a sua mamma. Era uno spettacolo dove gli attori interpretavano una situazione di dolore allo stato puro: il padre di famiglia, malato di alzheimer, pian piano comincia a dimenticare prima ciò che aveva appena pronunciato o affermato, poi anche le facce e i nomi delle persone a lui più care. Proprio questo clima di dolore che veniva interpretato ha impressionato fortemente mio padre, tanto da discuterne tutti insieme a casa.

Francesca Raumer