Seduta nel divano, al calduccio sotto una coperta. abbasso un poco il volume del televisore e mi rivolgo a mia mamma, che tranquillamente si sta rilassando dopo una giornata di lavoro e mille impegni con la lettura di un libro al mio fianco.

“Mamma, ti ricordi dell’ultima volta in cui siamo andati a teatro?”

“Certo” mi risponde, ponendo il segnalibro tra le pagine e chiudendo il romanzo. “Non è stata quella volta che siamo andati a vedere il musical sulla storia dei Queen?”

“Sì, è passato un po’. Ma a te in generale piace andare a teatro? Che cosa ne pensi? Voglio dire, come ti senti quando vai a teatro?”

Guardandomi un po’ perplessa per la sfilza di domande insolite e improvvise, inizia a raccontare: “Dunque, il teatro mi piace molto anche se non lo frequento così spesso. Ho assistito a qualche spettacolo soprattutto con tuo padre e devo dire che sono quasi sempre state esperienze entusiasmanti e avvincenti, anche se qualche volta mi sono annoiata, per non dire addormentata (ma non dirlo al papà, eh!). È stato proprio tuo papà che mi ha fatto conoscere il teatro e tutt’ora mi propone di andarci, infatti penso che altrimenti non avrei visto rappresentazioni tanto spettacolari, perché di mia iniziativa dubito che avrei trascorso serate su quelle eleganti poltroncine rosse, davanti ad un palcoscenico. Sono parecchie le volte in cui avrei preferito stare a casa o andare al cinema piuttosto, ma alla fine mi sono sempre resa conto che me ne sarei pentita e avrei perso un’occasione importante per imparare cose nuove. Imparare, ho sempre pensato che andare a teatro consistesse proprio in questo, arricchire il proprio bagaglio culturale in un modo piacevole e leggero. Ma l’aspetto del bel teatro che ho sempre apprezzato maggiormente è quella sua capacità di coinvolgerti, di trasportarti all’interno ciò che racconta e farti dimenticare per un attimo tutti i problemi, le preoccupazioni, gli impegni di ogni giorno. A mio parere, quando uno spettacolo riesce a farti provare tali sensazioni, allora puoi avere la certezza che ciò a cui stai assistendo è degno di essere chiamato Teatro, con la T maiuscola.”

Elena Mioni 

Mi sentivo importante. Tutti i miei amici di solito andavano al cinema, mentre io, anche se per una sera soltanto, ero stata portata a teatro.
Mi sentivo importante perché pensavo che andare a teatro non fosse cosa da tutti.
Era dicembre e avevo appena compiuto 9 o 10 anni e fuori nevicava.
Quando entrai, sebbene mi sentissi già grande, con gli occhi di una bambina scrutai attentamente l’ambiente circostante e di fronte all’imponenza e alla maestosità del sipario, del palco e della sala che piano piano si riempiva, mi sentii piccola.
Ma la vera magia ebbe inizio solo quando cominciò lo spettacolo.
Seguii con lo sguardo gli attori che recitando a volte alta, quasi urlando, le loro parti, si muovevano da una parte all’altra del palco e mi chiesi anche se io sarei mai riuscita a imparare così tante battute.
Da quella sera di dicembre cominciai a provare delle emozioni tali che ancora oggi, a più di quarant’anni, non solo mi portano, ma addirittura trasportano a teatro e nel teatro.

Matilde Cazzola

Ballare sul palco di un teatro é un’emozione unica. Le luci, i vestiti, il pubblico, le scenografie.. sono molto suggestivi. Ricordo tutto come se fosse ieri. L’agitazione mi accompagnava già dalla prova del costume qualche settimana prima dello spettacolo fino al fatidico momento in cui salivo sul palco. Era una liberazione per me, riuscivo ad esprimere tutta me stessa attraverso la danza e cercavo, il più possibile, di trasmettere le emozioni a chi mi guardava.

Il mio sogno era fare un passo a due con l’amore della mia vita, ma, dato che mi sono sposato un uomo tutt’altro che aggraziato, purtroppo non é stato possibile.

Giulia Ciscato

 

Freddo. Buio. Fatica. Una storia raccontata sotto le stelle, nelle trincee abbandonate e silenziose, cicatrici della montagna, non ancora del tutto sanate.
È facile immaginare di esser tornati indietro di cento anni, di essere quei ragazzi spaventati, infreddoliti, confusi. Nessuno sa ciò che deve fare, perché lo deve fare. “Che ci facciamo qui?”, si chiedono tutti, in mille dialetti diversi, con mille accenti diversi. Nessuno lo sa. Assurdo.
Freddo. Buio. Fatica. Una storia raccontata sotto alle stelle. Freddo. “Ha fatto più morti il freddo che i cannoni”, dice mio papà. “Ci credi?”, aggiunge con gli occhi azzurri fissi nel vuoto, “sono morti aspettando qualcosa che non conoscevano, per un motivo che non conoscevano”.

 

Rachele Sandonà

COGOLLO RICCARDO: Buongiorno,può presentarsi?

LUISA SALMASO: Luisa Salmaso,nata nel 1964,professione insegnante di scuola secondaria di secondo grado.

CR: Molto bene,iniziamo.Che tipo di esperienze ha avuto lei con il palcoscenico?

LS: Allora,non sono mai stata un’attrice,ma sono stata più volte a teatro,da sola o con la famiglia.

CR: Ha mai avuto particolare interesse verso questo ambiente?

LS: Si,mi piace assistere a spettacoli recitati da attori che stimo ed apprezzo.

CR: C’è una rappresentazione a cui è particolarmente legata?

LS: Si,due.L’Aulularia di Plauto,che ho visto alle scuole superiori:fui coinvolta nella scena da un attore.Io non risposi, non avendo capito la domanda che mi venne posta,ed in seguito l’attore che mi aveva interpellata mi chiese quale fosse stato il motivo del mio silenzio.Il secondo è “La vita di mozart”,una rappresentazione teatrale per bambini. In quell’occasione fui colpita dalla capacità e dalla bravura del regista.

CR: Che sensazione le dà il teatro?

LS: A differenza della televisione il teatro coinvolge lo spettatore,e quindi ti permette di provare emozioni in modo molto più intenso;questo ovviamente se lo spettacolo è costruito in maniera tale da permettere un tale immergimento. Tutto ciò,davanti ad uno schermo è molto più difficile.

CR: Cosa pensa del teatro moderno?

LS: Non so cosa sia,anche se è difficile dare una definizione precisa. Se dovessi dare una definizione direi che è teatro scritto e diretto da scrittori contemporanei.

CR: Si ricordala sua prima volta a teatro?

LS: Credo fosse con la scuola, alle superiori.L’Aulularia dunque.

CR: Se dovesse associare il teatro con una parola,quale sarebbe?

LS: Emozioni,senza dubbio.

CR: Perchè?

LS: Perchè penso sia il compito del teatro suscitare e scatenare emozioni nello spettatore

CR: Quante volte vai a teatro all’anno?

LS: Due o tre. Sicuramente non quanto mi piacerebbe.

CR: Molto bene,grazie per il suo tempo.

LS: Grazie a lei,quando vuole.

Riccardo Cogollo

Silvia ci ha chiesto come compito “per casa” di chiedere a qualche membro della nostra famiglia se  avesse mai partecipato, come spettatore o attore, ad una esibizione scenica.

Ho chiesto a mia mamma, e ho scoperto che quando ero piccola (una decina di anni fa) è tornata a teatro dopo tanti anni, per vedere una sua cara amica mettere in scena la storia di Madre Teresa di Calcutta.

Le ho chiesto come si è sentita durante questa esibizione e se le fosse piaciuta, e lei mi ha raccontato che per tutta la sua durata si è sentita come rapita e totalmente immersa in ciò a cui stava assistendo; come in un’atmosfera surreale.

Trovo che gli attori essendo riusciti a trasmettere qualcosa del genere abbiano raggiunto uno degli obiettivi più importanti secondo me, e trovo che sia bellissimo.

Giulia Chiumento

<<Sai Gaia, non serve un teatro per fare teatro>>. E’ partita così mia zia alla domanda “Qual è stata la tua esperienza più significativa con il teatro?”.
Certo, un modo un apparentemente insolito di rispondere, ma poi continuò la sua risposta :<< Era l’estate di tre anni fa, precisamente nel ‘lontano’ agosto del 2015>> disse con un filo d’ironia.
Poi riprese:<< Mi era stato proposto di partecipare a un progetto chiamato ‘Teatro in casa’: dovevo rendere la mia corte un teatro. Ed io subito entusiasta accettai molto volentieri.
Il pomeriggio del giorno dello spettacolo lo passai a sistemare ciò che serviva e, non ti nascondo, anche con la preoccupazione che qualcosa potesse andare storto.
Insomma, ospitare una rappresentazione teatrale a casa tua non è una cosa da tutti i giorni. Ma veniamo al dunque. Quella sera fu un vero e proprio successo; la corte si era riempita di gente e, quando l’attrice finì di recitare, ottenne infiniti applausi. Era bastato veramente pochissimo per far emozionare grandi e piccoli. Si era creata una sorta di atmosfera familiare magica. C’erano perfino delle persone che per assistervi si affacciavano ai propri balconi e alle proprie finestre. Questo per me è il teatro: basta un pubblico ed una voce che ti entri nel cuore!>>
Gaia Maria Rizzato

1) IN CHE MODO SEI VICINO AL TEATRO?

Mi dedico ai musical da sei anni e mi interesso alle tre discipline di questo genere teatrale, ovvero il ballo, il canto e la recitazione. Appartengo a varie compagnie teatrali che organizzano musical e mi dedico alle prove rigidamente tre volte a settimana per tre o quattro ore, talvolta anche fino a mezzanotte.

2) CHE RELAZIONE HAI CON IL TEATRO?

Ho una relazione controversa con il teatro. Da un lato lo amo perché l’immedesimazione nelle emozioni del mio personaggio, paradossalmente mi fa comprendere molti aspetti di me stesso che prima non conoscevo. Inoltre i musical mi permettono di dedicarmi a tre discipline diverse che non avrei mai conosciuto se mi fossi dedicato solo ad una di esse. Tuttavia non mi piace il fatto che spesso, soprattutto in Italia, non venga data la necessaria importanza al teatro, che viene spesso solo visto come un hobby di nicchia e non come una vera professione.

3) CHE DIFFICOLTA’ HAI TROVATO NEL RELAZIONARTI CON IL TEATRO?

Le prime lezioni di recitazione sono state molto imbarazzanti: non riuscivo ad instaurare una solida amicizia con i miei compagni poiché ero intimidito dal loro giudizio nei miei confronti. Dal momento che inizialmente la mia passione era il canto, non avevo mai pensato di poter essere bravo anche nella recitazione. Mi muovevo quindi con molta goffaggine e insicurezza sul palco. Con il tempo ho imparato a non ascoltare i giudizi maligni del pubblico o dei miei compagni, ma a concentrarmi esclusivamente sulle cosiddette critiche costruttive, le uniche in grado di arricchirmi professionalmente.

4) CHE INFLUENZA HA IL TEATRO SULLA TUA VITA?

L’aspetto principale in cui mi ha influenzato è stata la disciplina. Se si ha intenzione di impegnarsi seriamente in questa attività è necessario recarsi alle prove tre volte a settimane per minimo tre o quattro ore. Ciò sviluppa un grande autocontrollo: si è responsabili non solo di se stessi, ma anche dei propri compagni e della riuscita dell’intero spettacolo. Il teatro è inoltre molto utile nella conoscenza di nuove persone. Può succedere che un attore ritrovi in qualcuno le caratteristiche psicologiche di un personaggio precedentemente interpretato, riuscendo più facilmente a comprenderne i comportamenti e a relazionarcisi.

5) COME E’ INIZIATA LA TUA PASSIONE PER LA RECITAZIONE?

Inizialmente la mia passione era il canto. Quando avevo cinque anni, dal momento che cantavo ininterrottamente per casa, mia madre mi iscrisse ad una compagnia di musical di Villaverla. Attraverso questa entrai in contatto anche con il mondo della danza e della recitazione. Interpretai Il re leone per la Compagnia del Villaggio e ancora oggi sono fermamente convinto che nella mia vita la recitazione e il canto avranno una grande importanza, soprattutto per la mia formazione personale e il mio sviluppo caratteriale.

Agnese Pegoraro

Ho intervistato mia zia riguardo al suo rapporto con il Teatro, pensando di trasporre l’intervista in un unico testo, ossia il brano che segue. Tratto di una nostalgia per l’Arte, una nostalgia che si protrae sin dall’infanzia, e che troverà come sua cura immediata una serata a teatro. 

Durante una sconosciuta e calda sera d’estate sono seduta su una panchina, aspettando un amico, per poi andare a bere qualcosa assieme. La città brilla di una luce insolita, e i lampioni delle strade mi rimandano a un ricordo lontano, instillando in me inspiegabile nostalgia. Sotto la pelle vaporosa e umida, sento che qualcosa smuove i nervi, pervade la mente, e colpisce dritto alla reminiscenza. Musica. Un enorme teatro. Ansia. Ora ricordo: il viaggio in Belgio con il coro della scuola. Quella è stata un’esperienze veramente appagante: sentire le mille voci del pubblico da dietro il sipario; promettere a se stessi di non dimenticarsi le parole dei brani, che di lì a breve sarebbero stati cantati; ripromettersi di abbandonare la paura; sentire secca la faringe, perché si ha appena infranto tale promessa. Nonostante tutto, però, trovarsi su quel palco e farne parte anche solo per pochi istanti sono un’emozione che resuscita l’anima della persona, le fa toccare con mano le stelle che aleggiano nel cielo dello Spettacolo, racchiuso nel cosmo dell’Arte e dell’Espressione. È ora di andare, le gambe si sollevano e i piedi seguono Stefan. Ci sediamo nei pressi di un giardino, ordinando da bere un paio di coca-cola. Egli parla, ride, mi fa delle domande e io rispondo a monosillabi. Allora, Stefan si avvicina di fianco al mio orecchio e mi chiede se tutto andasse bene. Non gli risposi subito, mi disincantai, e ripresi con una risata: tutto andava alla perfezione. Ma egli non poteva non accorgersi che io ero strana. Insiste. Dunque, gli confesso la mia nostalgia, e lui fa una cenno con la testa, come segno di assenso a un accordo che solo lui conosceva. Mi sento afferrare la mano e, prima che me ne accorga, sto correndo verso la sua macchina, parcheggiata qualche strada più in là. Non risponde alle mie domande, e non riesce a togliersi quel sorriso idiota dal viso. Dove stiamo andando? Mistero. Corsa. Una volta rinunciato a scoprire quale fosse la meta, comincio ad osservarmi attorno, sperando non mi porti in un bosco, o che so io. Siamo in autostrada: il peggio è stato evitato. Scopro che siamo diretti a Belgrado. Contemplo la espressione da impeccabile beota che si era pietrificata sulla sua faccia. Mi rassicura dicendomi che tornerò ai giorni della mia infanzia, che il posto in cui mi stava portando sarebbe stato la medicina per la mia nostalgia. Gli credevo, in maniera relativamente titubante, ma gli credevo. Scendiamo dalla macchina e vedo erigersi dinanzi a me una struttura monumentale, magica: era il Teatro nazionale a Belgrado. Vi ero stata da piccola, e la emozione era la stessa. Guardo con occhi eccitati Stefan. Egli è dispiaciuto perché all’interno non vendono zucchero filato né caramelle, ma mi raccomanda di fare la brava in ogni cas0, di non disturbare chi si sarebbe seduto accanto a noi, e di non addormentarmi sino alla fine dello spettacolo. Lo ignoro guardandolo con occhi grati. Ci accomodiamo, e leggiamo il libretto di presentazione dello spettacolo: si trattava di Niccolò Macchiavelli e della sua amata Mandragola, che sicuramente ci avrebbe fatto ridere, pensai. Ansia. Freddo. La nostalgia mi divora, il pensiero di aver abbandonato il palco scenico mi rode dentro. Stefan mi osserva, ma non dice niente, si limita a stringermi la mano. Gli occhi spaziano attorno e vedono un bellezza secolare: la bellezza di un teatro che non si è arreso mai, e che, nonostante le diverse generazioni, ha sempre accolto chiunque avesse voluto godere della sua Arte. Silenzio, il sipario dalle tende di un velluto splendente apre la scena. Lo spettacolo mi ha incoraggiata, rigenerata, e limitato la mia nostalgia. Durante il tragitto di ritorno penso a quanto il Teatro sia stato gentile: anche se non ho vissuto in prima persona l’inscenamento, come fanno hanno fatto gli attori, questo mi ha permesso comunque di sentirmene parte. Ho riso tanto, mi sono divertita. Le luci e i scenari erano quotidiani, lasciando campo libero per i dialoghi e l’interazione attore-pubblico. Grazie Stefan. Grazie Teatro.

Marko Jovanovic

Blocco mia mamma appena ha finito di lavare i piatti, subito prima che si avvii a letto, un po’ stanca, un po’ pensierosa.
“Mamma, aspetta, ho bisogno che tu mi parli della tua esperienza con il teatro”
Mi guarda storto, leggermente sorpresa e un po’ dubbiosa, inizia con un “Ma, Iris, lo sai che non sono brava a parlare, se questo è un compito d’italiano prenderai 4!”
“Mamma” la tranquillizzo “sono le tue opinioni, non puoi dire niente di sbagliato”
E allora, rinfrancata, inizia a parlare dopo aver soppesato un po’ le parole da dire.
Esordisce con un “Il teatro è come l’opera, la prima volta che lo vedi capisci se lo ami, e lo amerai per tutta la vita, o se lo odi, e non ti piacerà mai.”
Smetto di scrivere: “Mi sembra tanto una battuta di Pretty Woman” le dico.
Con un sorriso furbo mi dice: “Lo è. Ma, vedi” continua “è quello che credo anch’io. Prendi ad esempio papà: lui non l’ha mai apprezzato e mai lo farà”.
Tira un sospiro e riprende il discorso, sempre in italiano, ma lasciandosi scappare qualche espressione in dialetto. “Il teatro per me è un sogno e ogni volta che ci vado sogno di essere accompagnata al posto riservato per me, come se fossi una persona importante, sogno una poltrona imbottita, rossa e di pelle. So solo il titolo dello spettacolo di solito e i migliori a cui sono stata sembravano quasi deludenti dalla locandina. Ma sai cosa non mi piace? Che gli attori principali si prendano la stragrande maggioranza degli applausi: insomma, io voglio vederle tutte le persone che ci hanno lavorato, voglio poterle applaudire. E, al contrario dei film, ma, Iris, conta ca so’ ignorante, il teatro pone la persona così com’è. Non si può mica nascondere, l’attore ovviamente, dietro stuntman, musiche eccessive, “cose” virtuali. Non può mica ad un certo punto fermarsi e dire al pubblico “No, questa non è venuta bene, tagliamo!”
Per me i film, ad esempio, non sono reali; il teatro invece sì, il teatro lo posso quasi toccare”

Iris Smiderle